L’ansia come necessità di fuga

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L’ansia è una fedele compagna di vita

L’ansia è una compagna della vita di molti. Anche (o forse sarebbe più giusto dire “soprattutto”) di tante persone che, all’apparenza, ci sembrano calme, posate, sorridenti. A me è successo in molte occasioni: pur essendo un ansioso certificato ho trovato persone, nella mia vita, che mi hanno definito “rasserenante” o “rassicurante” (sì, all’inizio può anche sembrare che lo sia. Per via dei toni bassi che sono solito usare nel mio modo di porgere agli altri).

Il punto, forse, è che per esorcizzare la propria ansia, si indossa la maschera della calma, magari con l’idea di riuscire a ingannare per primi se stessi. Che non vuol dire imbrogliare, intendiamoci. Vuol dire provare a essere ciò che non si è. 

Quanto è fondamentale la testimonianza 

Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano i disturbi dell’umore è il senso di isolamento che accompagna chi ne soffre. Io stesso ho da sempre la sensazione di essere l’unico essere umano al mondo a soffrire di attacchi di panico (o disturbo di panico a dir si voglia) e pertanto, quando scopro che qualcun altro è in grado di sottoscrivere la medesima esperienza, rimango in qualche modo sorpreso, anche perché mi pare di conoscere qualcuno che abbia in mano delle chiavi per accedere a un livello di confidenza importante, superiore.

Lo so, è un fenomeno diffuso tra tutti coloro che possono condividere una qualsiasi esperienza di vita e, segnatamente, le esperienze traumatiche fanno scattare un’empatia immediata. 

Grazie, Carlo, per avere accettato di metterti in gioco

È per questo che ci tengo pubblicamente a ringraziare Carlo Martigli. Sappiamo tutti molto bene come, aprendosi alla condivisione di aspetti di sé si cui non si parla volentieri, finiamo con il dare in mano a chiunque (potenzialmente) una chiave d’accesso verso alcuni aspetti delicati della nostra personalità.

Mettiamo in gioco la nostra fragilità di esseri umani. Ho fatto molto richieste di interviste, in queste settimane, e devo dire che ancora oggi esiste una potente ritrosia nell’ammettere alcune caratteristiche del sé. 

Carlo ha voluto parlare dell’ansia, del suo rapporto con questo stato d’animo, del fatto che questa si è sempre presentata più potente in momenti chiave della sua vita, spesso quale preludio a cambiamenti importanti.

L’ansia come fuga, nel suo caso, da situazioni di vita che lo stavano soffocando. E la sua parabola – da bancario con seniority a scrittore affermato – dovrebbe o potrebbe essere di ispirazione un po’ per tutti, per farci capire che, a volte, l’ansia cui spinge via da situazioni che non sono pericolose in sé, ma a cui semplicemente non vogliamo più piegarci. 

E adesso?

Riprenderemo il filo da dove lo abbiamo lasciato e speriamo di avere presto altre persone che, come Carlo Martigli, non solo si apriranno alla community ma ne diventeranno amiche. Carlo e io, infatti, stiamo pensando a dei progetti insieme, quelli che non siamo riusciti a realizzare in anni di conoscenza pregressa e che, chissà, magari proprio grazie a questa iniziativa, in cui ho voluto con-fondere mestiere e vita vissuta, potrebbero finalmente realizzarsi.

O magari no, ma sarà comunque stato bello progettare. Perché la dimensione del sogno, del pensarsi nel tempo lontani dagli affanni del quotidiano è uno dei calmanti più potenti che esistano. E questo lo dico io, che per una volta – non intervistando un medico – mi permetto di andare un po’ oltre il mio solito ruolo di tramite. 

Post Scriptum

Questa intervista rappresenta quindi, per me e per il progetto, un primo piccolo ma importante passo in avanti verso ciò che vorrei creare in senso assoluto. Si tratta della prima intervista realizzata a una persona che ha deciso di “mettersi in gioco” (o metterci la faccia, decidete voi), parlando di sé, di come certi disturbi agiscano sui propri vissuti.

Si apre quindi la stagione delle testimonianze, che mi auguro siano sempre di più, sempre ricche, avvincenti e preziose. Perché nella mia idea di comunicazione c’è la medicina, certo, ma anche la parola. E l’empatia. 

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