La salute psicologica degli italiani: facciamo il punto?

salute psicologica

 

La salute psicologica è un tema di grandissima attualità. Nei mesi scorsi lo abbiamo visto declinare in svariati modi, a partire dalla questione legata all’erogazione del bonus psicologo alla proposta di implementazione di uno psicologo di base o a ancora in relazione al tema delle cosiddette “grandi dimissioni”. Si tratta quindi di un discorso che riguarda milioni di italiani che, in seguito alla pandemia da Covid-19 e in relazione alle incertezze di tipo politico ed economico, stanno facendo i conti con ansia, depressione e tante fonti di stress. 

L’ambizione dell’intervista di oggi, fatta con il dottor Massimo Cozza, psichiatra e Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 2 di Roma (peraltro il dottor Cozza è anche uno degli organizzatori del RO.MENS, festival della Salute Mentale che si tiene a Roma ogni anno tra settembre e ottobre) non è tanto quella di fare il punto in maniera definitiva sulla situazione relativa alla salute psicologica degli italiani, quanto cercare di capire, anche attraverso l’esperienza sul campo della struttura pubblica, quale sia la richiesta di salute mentale e quali siano i problemi che si possono trovare in questa situazione. 

La salute psicologica come priorità

Indubitabilmente esiste una domanda di salute, da un punto di vista psicologico, che difficilmente ha avuto pari. La pandemia prima e le incertezze economiche poi hanno colpito in maniera trasversale la popolazione del nostro Paese, decretando la slatentizzazione di tanti disturbi (autolesivi e alimentari nei ragazzi, ansioso depressivi negli adulti) che vanno a minare la serenità, la vita di relazione, gli equilibri familiari, i percorsi scolastico-lavorativi. 

Siamo, in definitiva, un popolo di persone sofferenti, che sta per la prima volta guardando con attenzione la propria immagine riflessa dalla lente deformante del disagio psicologico. 

Personalmente devo dire che la cosa non mi sorprende affatto. E qui metto la notazione biografica. L’altro giorno, cercando alcuni documenti sul motore di ricerca della posta, ho trovato una email risalente al 2012 in cui già manifestavo l’intenzione nei creare (anche se con un nome diverso) ciò che poi avrei realizzato nel 2022, cioè una sorta di osservatorio per i disturbi d’ansia e di tipo depressivo. 

Già allora mi sembrava che un’operazione del genere fosse ancor più che utile, necessaria per cercare di creare quella che viene definita (da quelli bravi) “awareness” nei confronti del tema.

Uno degli obiettivi che mi ero posto fin dal 2012 era quello di sollevare il tema dello stigma che accompagna la sofferenza psicologica, la quale rischia di peggiorare quando si accompagna a sentimenti di isolamento e inadeguatezza. Parlando in termini personali, posso dire che il panico ha sicuramente frenato la mia resa negli studi (banalmente impedendomi di frequentare per lunghissimi periodi i corsi all’università, ai tempi) e nel lavoro (limitando la mia autonomia di spostamento quando si trattava di andare al di là di un certo perimetro di sicurezza). 

Mi chiedo quindi quante carriere o aspirazioni lavorative siano rimaste menomate da questo tipo di disagio. E quante persone non siano poi riuscite almeno a tentare di realizzare un progetto di vita a causa di queste limitazioni. Anche per paura di un giudizio, quello dei colleghi e dei datori di lavoro. Il timore di essere considerato un peso. O inaffidabile. 

Gli italiani vanno volentieri dallo psichiatra?

Allo stesso modo mi chiedo se gli italiani sono capaci di rivolgersi con serenità agli operatori che lavorano nel settore del benessere mentale. E questo è un altro punto del discorso toccato con il dottor Cozza. Mi sembra infatti abbastanza chiaro che se da una parte i malati temono lo stigma sociale, vi sia anche una ritrosia relativa al rivolgersi a psicologi e (soprattutto) psichiatri perché si ha la sensazione di dover ammettere una paura: quella legata alla malattia della mente. 

Per non parlare di un tema che dobbiamo assolutamente affrontare su questo sito quanto prima: quello della farmacofobia. Del sostanziale rifiuto del supporto psichiatrico per timore che vengano prescritte medicine che si vivono come nemiche della propria personalità. Ammetto che questo è un discorso complesso e che non voglio affrontare in queste poche righe conclusive di introduzione al video. Ma si tratta di una componente da non trascurare, se vogliamo capire la sofferenza psicologica degli italiani nella sua componente sociale e culturale. 

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